Ricostruire l’aspetto dei legionari romani in epoca medio repubblicana è tutt’altro che cosa semplice e scontata, dato che le fonti iconografiche di matrice romana del periodo sono decisamente scarse: rarissimi gli affreschi tombali, pressoché inesistenti altre tipologie di opere pittoriche utili a ricostruirne l’aspetto decorativo e cromatico.
Non è però completamente impossibile farsi un’idea verosimile dell’aspetto di questi scudi, utilizzando, oltre alle poche fonti romane disponibili, la comparazione critica con fonti coeve di cultura ellenistica e l’interpolazione con fonti immediatamente precedenti o successive. Questa ricerca è nata infatti per una ricostruzione museale databile al 225 a.C. circa, che ha richiesto appunto questo approccio diacronico per una ricostruzione che avesse la maggior probabilità di avvicinarsi alla realtà storica, con una metodologia del tutto simile a quella adottata per ricostruire l’aspetto di un console romano al tempo della seconda guerra punica.
Questa breve ricerca circoscrive quindi il campo al periodo compreso, all’incirca, tra la prima guerra punica ed il periodo augusteo, per quanto riguarda gli scudi impiegati abitualmente dai legionari cioè scudi oblunghi, generalmente ovali, piatti o convessi, in questo ultimo caso simili al famoso reperto di Kasr El Harit (o del Fayum).
Fortunatamente su un punto importante le fonti disponibili sono molto concordi: il colore di fondo era pressoché sempre il bianco o comunque di colore chiarissimo.
Molto probabilmente il motivo di questa onnipresenza del fondo bianco era dovuto al fatto che i materiali usati per il rivestimento degli scudi erano prevalentemente di colore molto chiaro al naturale. Scudi oplitici da tombe della necropoli ellenistica di Vergina, mostrano due strati di lino incollati con pece e spalmati esternamente di una miscela di gesso, argilla bianca e colla, che otteneva il risultato di dare consistenza e protezione al rivestimento di tessuto. Entrambi questi materiali, lino e stucco a base di gesso, in natura hanno un colore molto chiaro e molto vicino al bianco.
Anche un eventuale rivestimento in cuoio crudo (sappiamo ad esempio che Polibio parla di questo materiale per gli scudi della cavalleria romana) o in pelle/cuoio conciato naturalmente avrebbe avuto un colore estremamente pallido (simile alla pergamena).
Un motivo, inoltre, per sbiancare ulteriormente questi materiali era sicuramente il valore positivo attribuito ad un’alta visibilità degli scudi stessi. Infatti nel tipo di guerra antico, basato su battaglie campali combattute da eserciti appositamente schierati, il mimetismo non aveva particolare valore, al contrario l’ostentazione di armamenti vistosi aveva un effetto psicologico importante.
Infine, ma non meno importante, nella cultura romana come in molte altre contemporanee, il colore bianco aveva un importante significato religioso.
Nonostante molti degli scudi di cui abbiamo raffigurazioni a colori siano completamente inadorni, abbiamo alcuni suggerimenti relativi alla possibile araldica degli stessi da un’altra fonte, purtroppo però acroma: la monetazione.
Il simbolo del fascio di fulmini, arma del padre degli dei così ricorrente sui ben più noti scudi dell’alto impero, è in realtà un simbolo di origine ellenistica, in uso già dal III secolo a.C. anche in ambito romano.
Sul suo effettivo utilizzo come araldica su scudi, testimonia un rilievo dalla Stele con guerriero e scudo da Mysia Abbaitis, in Frigia, attuale Turchia, della seconda metà del II sec. a.C., in cui nonostante la consunzione, si possono ancora distinguere le ali e i raggi sagittati del fulmine.
Nel II secolo a.C. alcune monete ci mostrano l’utilizzo ad esempio di decorazioni raggiate che con ogni probabilità rappresentano il simbolo della stella a otto punte (simbolo molto apprezzato e diffuso durante il periodo ellenistico ma ben attestato anche precedentemente), peraltro noto anche dalla cosiddetta spada di San Vittore, spada di tipo gallico forgiata a Roma a cavallo tra IV e III secolo a.C. e recante appunto una decorazione raffigurante due stelle a otto punte e un’iscrizione.
L’uso della decorazione con stella a 8 punte è documentato anche in ambito campano, nel IV sec. a.C., è quindi possibile che questo tipo di simbologia fosse adottato già almeno dal III secolo a.C. anche sugli scudi romani.
Alcune monete dell’inizio del I secolo a.C. presentano una decorazione molto semplice, che potrebbe essere ricondotta forse ad una raffigurazione molto semplificata del fascio di fulmini alato. In effetti la raffigurazione ci presenta una divinità, Giunone Sospita, una delle divinità romane a cui era riconosciuta la prerogativa di scagliare fulmini: evidente il ruolo simbolico religioso dello scudo, che viene raffigurato con la forma del sacro ancile (lo scudo magico caduto dal cielo ai tempi di Numa Pompilio).
Questa raffigurazione però richiama immediatamente una delle poche raffigurazioni a colori di cui disponiamo, che presenta una decorazione simile, molto semplice e non riconducibile al fascio di folgori. Si tratta della raffigurazione di un trofeo con scudi nel mosaico a tema nilotico dell’Antro delle Sorti, grotta naturale nei pressi del foro dell’antica Praeneste, attribuibile ad artisti alessandrini che lo realizzarono sul posto alla fine del II secolo a.C. In considerazione della vicinanza cronologica è molto plausibile che si trattasse di un simbolo simile, se non lo stesso.
Il motivo comunque mostra un evidente richiamo alle ben più antiche raffigurazioni del fascio di folgori, rappresentato sui già visti trienti romano-campani di III secolo, del quale potrebbe, in definitiva, costituire la stilizzazione finale.
Un motivo decorativo molto simile è ancora utilizzato per uno scudo su una delle metope del mausoleo di Munazio Planco a Gaeta. Il mausoleo è databile al passaggio tra età Cesariana ed età augustea. In età augustea, oltre quindi i limiti temporali qui osservati, i motivi decorativi varieranno sensibilmente seguendo un’evoluzione generale dell’arte figurativa romana.
Per quanto riguarda i colori utilizzati per le decorazioni, potendosi basare soltanto sulle informazioni disponibili qui riportate, si può ipotizzare l’utilizzo del blu e del rosso, peraltro nell’antichità considerati i colori di maggior prestigio e più ricorrenti nelle decorazioni fina dai tempi arcaici. Vediamo infatti in una delle pochissime raffigurazioni di scudi decorati in affresco di Pompei, che, seppur più recente del periodo qui considerato, propone scudi nuovamente a fondo bianco, con decorazioni rosse e blu; come blu sono pure le decorazioni dello scudo nel mosaico nilotico da Palestrina. Nell’affresco pompeiano anche l’interno di uno degli scudi è chiaramente dipinto di blu, come, un paio di secoli dopo, uno degli scudi da Dura Europos: gli unici scudi dipinti di ambito romano giunti a noi.
Conclusioni
Allo stato attuale delle conoscenze, la ricostruzione dell’aspetto degli scudi oblunghi romani del periodo medio repubblicano, e degli omologhi di ambito ellenistico, prevede una grande prevalenza di scudi bianchi o di colore chiarissimo, completamente inadorni. È verosimile che, pur in modo decisamente minoritario, venisse applicata anche qualche tipo di decorazione e, in questo caso, le decorazioni più verosimili sarebbero le seguenti:
- Fascio di folgori stilizzato, con o senza ali
- Stella a otto o più punte (stella argeade)
- Simbolo geometrico raggiato
- Simbolo geometrico “a X serpeggiante”, forse estrema stilizzazione del fascio di folgori.
I colori delle decorazioni saranno stati verosimilmente il blu e il rosso.
Per l’interno degli scudi è presumibile un colore chiaro come l’esterno, similmente a quanto raffigurato sul mosaico nilotico, o forse un blu intenso, raffigurato e realmente utilizzati in scudi di epoca posteriore.
Di seguito vengono proposte alcune ipotesi grafiche ricostruttive secondo quanto esposto sopra (e a breve, ci sarà qualche sorpresa a riguardo anche sul nostro sito! Tieni d’occhio la sezione “Scudi” e i nostri profili social).
Approfondimenti
G. Canestrelli, A Roma da Cartagine. La spada e lo scudo del legionario repubblicano, 2021 [link al libro]
Jean-Luc Féraud, ‘The Mulis Marianis reenacted’, Ancient Warfare V.1, 2011.
E. Polito, Fulgentibus Armis. Introduzione allo studio dei fregi d’armi antichi, 1998.
Striy. Historic Clothing Studies, n.1 (2019) http://striy.org.ua/index.php/striy/announcement/view/2
http://www.reconstitution-romaine.com/bouclier%20republicain.html
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