L’elmo Montefortino è un caso piuttosto unico tra gli armamenti del mondo antico, italico e non solo. Una longevità veramente notevole, di parecchi secoli, una genesi complessa, con parentele ramificate. È naturale quindi che si presenti anche in modo mutevole e non facilmente identificabile.
I diversi tentativi di classificazione degli studiosi – da F. Coarelli a H.R. Robinson e J. M. Paddock, da M. Princ a M. Junkelmann, citando soltanto i principali- non hanno ancora portato ad una classificazione unanimemente condivisa e utilizzata dai più.
Ciò è senz’altro legato a difficoltà oggettive nel definire cosa è un elmo Montefortino e cosa non lo è, cosa non lo è ancora e cosa non lo è più; tanto da suggerire, negli studi specialistici, il ricorso a termini diversi applicabili a categorie più definite.
Certamente negli studi più recenti si sono evidenziate alcune delle cause delle difficoltà di classificazione: una di queste è senz’altro l’uso molto generico del termine Montefortino, che per molto tempo ha accomunato due tradizioni tecnologiche molto differenti, vale a dire quella celto-italica o celto-etrusca e quella etrusco-italica, in seguito etrusco-romana.
Le differenze tecniche di fabbricazione costituiscono il principale motivo distintivo delle due tradizioni: senza entrare nel dettaglio, la principale differenza sta nella realizzazione quasi esclusivamente in ferro, bottone apicale applicato e paranuca leggermente sporgente verso il basso per la produzione a matrice celtica, realizzazione esclusivamente in bronzo con bottone apicale solidale alla calotta e bordo inferiore del paranuca orizzontale, per la produzione etrusco-italica-romana.
In questa occasione non ci occuperemo del repertorio di origine celtica.
Un secondo motivo di confusione è stato generato dall’utilizzo del termine Montefortino per definire elmi tipologicamente distinti, ossia l’elmo a bottone (l’elmo Montefortino etrusco-italico propriamente detto) e i tipi Buggenum, Haguenau e Weisenau di produzione romana più recente. In questo modo la denominazione “Montefortino” ha identificato nel corso del tempo, genericamente, una vasta classe di elmi della quale non era più possibile tracciare confini netti.
Limitandosi quindi alla sola produzione etrusco-italica, l’argomento rimane piuttosto complesso: alcune caratteristiche permangono per molto tempo, oppure possono coesistere su elmi diversi nello stesso periodo. La grande quantità di reperti (almeno 150 elmi attualmente noti), paradossalmente non rende la sua definizione più semplice.
Nel nostro caso vogliamo cercare di utilizzare però alcune di queste classificazioni principalmente allo scopo di definire il più appropriato utilizzo delle riproduzioni di elmo Montefortino in ambito rievocativo.
La base principale per inquadrare cronologicamente gli elmi in questione è senz’altro il lavoro di J.M.Paddock, in quanto illustrando e classificando la totalità degli esemplari noti all’epoca, permette, più che la valutazione di aderenza ad una categoria astratta, il confronto puntuale con i reperti a cui più si avvicinano le riproduzioni esaminate. Utilizzando poi le datazioni riportate, è possibile contestualizzare cronologicamente le stesse.
Vediamo quindi di inserire in un intervallo cronologico, almeno indicativo, gli elmi Montefortino che possiamo utilizzare in ambito rievocativo.
Naturalmente sempre tenendo conto che, considerate le indicazioni di massima per la datazione, la presenza un oggetto più antico è possibile mentre uno più recente è assolutamente fuori luogo.
Tipo II (Paddock) – Tipo C (Coarelli) – Variante Canosa (Junkelmann).
Ultimo quarto del IV sec. a.C.- terzo quarto del III sec. a.C. (325 a.C. – 225 a.C. dalla Seconda Guerra Sannitica alla Battaglia di Talamone).
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ELH113Y (ottone), ELH113BY (bronzo).
Tipo VI (Paddock), Variante Cremona (Junkelman), Tipo D (Coarelli);
Questo elmo rientra sostanzialmente, per la forma generale, per la decorazione e soprattutto per la forma delle paragnatidi (tipica di questo tipo), nel tipo VI di Paddock, caratterizzato da una calotta con forma tendente alla conicità (meno bulbosa) e alta, più voluminosa dei tipi precedenti; e da un paranuca piatto e piuttosto pronunciato.
I confronti più stretti sono con i reperti 82, 93.
La nostra riproduzione ne differisce tuttavia per il sistema di aggancio del sottogola e per la forma del bottone apicale. Il sistema di aggancio è, infatti, in questo tipo sempre costituito da un “perno a fungo, quando conservato, anziché da un “gancio con testa ingrossata”. Il bottone apicale a sua volta, quando conservato, è sempre di forma tronco conica anziché semisferica o bulbosa.
Possiamo quindi considerarlo un tipo VI con caratteristiche secondarie delle tipologie più antiche.
Il tipo VI è collocato tra il III ed il II sec. a.C.: le datazioni dei reperti spaziano tra il 300 a.C. ed il 100 a.C.
In particolare l’esemplare n° 82 è datato tra il 300 ed il 280 a.C., mentre il n° 93 tra il 275 ed il 200 a.C.
In conclusione, quindi, questa riproduzione è utilizzabile principalmente per le ultime decadi del IV secolo (tenendo conto dell’arcaicità di alcune sue caratteristiche) fino a tutto il III sec. a. C.: in pratica dalla Seconda Guerra Sannitica alla fine della seconda Guerra Punica, ma può essere utilizzato anche per tutto il II secolo a.C. cioè fino all'”epopea” di Gaio Mario.
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ELH039CDYB (ottone), EL039CDYZ (bronzo).
Tipo VI (Paddock), Variante Cremona (Junkelmann), Tipo D (Coarelli).
Metà del III sec. a.C. – inizio II sec. a.C. (250 – 190 a.C. dalla Prima Guerra Punica alla guerra romano-seleucide).
Realizzato su progetto originale Res Bellica in collaborazione con Gioal Canestrelli, si basa principalmente sull’elmo da Riola-San Vero Milis, (Oristano) e su altri esemplari coevi.
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Tipo VII (Paddock), Variante Rieti (Junkelmann).
Ultimo terzo del III sec. – metà del II a.C. (230 -150 a.C., dalle guerre contro i Galli Cisalpini alla terza Guerra Punica).
Questo elmo presenta alcune caratteristiche comuni tra diverse tipologie, di diverse fasi cronologiche dell’evoluzione dell’elmo Montefortino. La paragnatidi con questa forma, ad esempio, sono comuni al tipo I, II, III e VII. Anche la forma della calotta e il bottone apicale sono comuni in elmi delle prime fasi così come in quelle più tarde. Tuttavia per la forma del paranuca, piuttosto pronunciato e piatto, è da attribuire ad una delle varianti finali. In particolare la somiglianza è accentuata all’esemplare 103 (datato alla fine del III sec. a.C., 230 -200 ca, da Cremona) per forma e bottone apicale; e con il 107 (dalla Spagna, II sec. a.C.) per forma generale e delle paragnatidi.
In generale il Tipo VII presenta una decorazione semplificata, che dalla metà del II sec. a.C. tende a sparire completamente.
Possiamo quindi inserire questa riproduzione in un lasso cronologico che va dall’ultimo terzo del III secolo a metà del II a.C. con una possibile utilizzo fino al terzo quarto del II secolo a.C. All’incirca il periodo tra la Battaglia di Talamone e la fine della terza Guerra Punica.
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Una volta considerate queste indicazioni di massima per la datazione e l’utilizzo all’interno di contesti storici definiti, possiamo ribadire il concetto che un oggetto più antico è possibile mentre uno più recente è assolutamente fuori luogo, con un caso reale ancorché probabilmente eccezionale: al Museo Gregoriano Etrusco Vaticano, col numero di inventario 12318, è conservato un elmo che mostra senza dubbio le caratteristiche ad una delle tipologie più antiche, la III di Paddock, databile al IV-II sec. a.C. presenta una iscrizione incisa sul paranuca “Aurelius Victorinus MIL COH XII URB” che necessariamente lo colloca in un’epoca posteriore al 27 a.C., data di costituzione delle Coorti Urbane da parte di Augusto. Che fosse un “cimelio” (di certo non impossibile e non caso unico di longevità di un pezzo d’armamento bronzeo), un fondo di magazzino, un ricercato e intenzionale richiamo all’antico, sull’onda del recupero degli antichi valori promosso dalla politica Augustea, ci ricorda quanto queste classificazioni cronologiche siano spesso indicative.
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