Nel corso della Storia, ostentare ricchezza e un bell’aspetto è sempre stato uno dei mezzi utilizzati dall’umanità per mostrare materialmente il proprio status e il proprio potere.

A questo comportamento non sfugge nemmeno il mondo militare, particolarmente per quanto concerne il mondo antico, e ancor più in particolare quello romano. Se gli eserciti contemporanei hanno spesso delle tenute operative efficienti ma poco appariscenti, quasi totalmente sviluppate ai soli utilizzi pratici, nell’antichità i guerrieri e i soldati hanno utilizzato i mezzi più diversi per rendersi di aspetto vistoso e temibile sul campo di battaglia (creste, decorazioni, abiti di determinati colori, etc.).

Nel mondo romano, uno dei mezzi più immediati per mostrarsi temibili al nemico era quello di indossare il proprio equipaggiamento il più possibile tirato a lucido – una pratica che, del resto, non è assente anche in altre culture antiche: basti pensare a come i Romani di Crasso, a Carre, rimasero sbigottiti alla vista improvvisa delle luccicanti armature dei catafratti di Surena.

Non solo l’equipaggiamento lucidato e splendente costituiva un deterrente psicologico nei confronti del nemico, ma era anche un modo per il soldato di mostrare la sua marzialità ed efficienza.

Per esempio, così scrive Onasandro, nel suo Strategikós:

“Il generale dovrebbe impegnarsi a schierare la propria linea di battaglia risplendente nelle sue armature — cosa semplice, che richiede solo un comando per affilare le spade e pulire gli elmetti e le corazze. Poiché le compagnie che avanzano appaiono più pericolose a causa del luccicare delle armi, e la terribile vista incute paura e confusione nei cuori del nemico.”

(Strategikós, 28).

La necessità dello splendore, e quindi della pulizia, di armi e armature è ribadita più di una volta qualche secolo dopo anche da Vegezio:

“È il tribuno a essere lodato per la sua coscienziosità e duro lavoro, quando un soldato è immacolato nella sua uniforme, ben protetto e splendente nelle sue armi […]”

(Epitoma rei militaris, 2,12)

 

“[Il decurione fa sì che i suoi uomini] puliscano e abbiano cura frequentemente delle proprie corazze e protezioni, lance ed elmi. Il rifulgere delle armi incute una grande paura nel nemico. Chi può credere che un soldato sia bellicoso, se la sua disattenzione ha macchiato le sue armi di muffa e ruggine?”

(Epitoma rei militaris, 2, 14)

Il concetto è chiarito in modo esplicito anche nello Strategikon dell’imperatore Maurizio Tiberio (VI sec.), il quale non solo parla della necessità di coprire le armature con mantelli o simili, durante le ricognizioni, poiché potenzialmente visibili da lontano per via della loro lucentezza, ma anche della falsa credenza, apparentemente diffusa all’epoca almeno a livello popolare, che un esercito meno “lucente” fosse anche più vittorioso:

“Constatiamo che i Romani, come tutti gli altri popoli, quando osservano da lontano gli schieramenti altrui, in genere ritengono quello con l’aspetto più cupo come più vincente nelle battaglie rispetto ad uno con le armi risplendenti, anche se è un luogo comune errato […]”

(Strategikon, 7, B, 15)

 

Ph. Konomi/Viaromana

 

Le fonti antiche non si limitano poi a trattare il tema della pulizia e lucentezza dell’armamento dei soldati romani. Anche prescindendo dai resti archeologici di pezzi di armamento decorati e impreziositi da metalli pregiati (rientrano in questa categoria non pochi elmi “da truppa”), le fonti antiche ci illuminano anche sul fatto che i soldati Romani non si facessero nessun problema a scendere in battaglia con equipaggiamenti decorati, e il fatto che curassero molto la componente estetica del loro armamento.

Per esempio, così Svetonio, parlando di Cesare:

“Voleva anche che [i soldati] fossero ben equipaggiati, e dava loro delle armi decorate con oro e argento tanto per aumentare il loro prestigio quanto perché in combattimento fossero ancora più tenaci, spinti dal timore di perdere armi tanto preziose.”

(De Vita Caesarum, Cesare, 66-67)

Sulla forte valenza della componente estetica dell’equipaggiamento militare, il testo forse più chiaro a riguardo resta questo famoso passo, proveniente di nuovo dallo Strategikon di Maurizio che, a più cinquecento anni di distanza, è ancora in linea con le parole di Onasandro:

“Più di bell’aspetto è infatti l’armamento di un soldato, più fiducia egli guadagna in sé stesso, e maggiore timore incute al nemico.”

(Strategikon, I, 2)

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